Quando i commissari sono peggiori dei candidati
Il pesce puzza dalla testa. Si sa
che quando l’istruzione e la ricerca non sono messe in condizione di trainare, il Paese arranca. E poco alla volta
disperde le rare eccellenze che ha (senza saperlo). Subentra allora,
solitamente, quel certo trantran, mascherato di sensazionalismo. Dietro il
quale non c’è niente; niente che faccia sperare in una ripresa seria. Cosí è
oggi – a non voler raccontare storielle – nell’Università e fuori di essa.
Accompagnata da gran fragore su
media e giornali, dall’esordio fino alla pubblicazione dei risultati, si è
svolta la prima tornata dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale) a
professore universitario di I e di II fascia. Una megaoperazione gestita da
quell’organismo mastodontico (e costosissimo per le casse dello Stato) che è
l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della
Ricerca): creatura della Legge Gelmini (figlia di tanta madre, e si vede), che
provvede anche alla VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) e all’AVA...
Dio quante sigle! No, non è ‘Ava come lava’, è Autovalutazione, Valutazione
periodica, Accreditamento.
Da noi l’ANVUR è spuntato come un
fungo. C’è; dispone, fa le veci del Ministro per l’Università e la ricerca (ma
li paghiamo tutt’e due, MIUR e ANVUR). Punto e basta. L’Università se l’è
trovato, da un giorno all’altro, sul groppone senza sapere da chi e come sono
state disposte le nomine dei suoi vertici. Ma sembra non importare a nessuno (o
quasi).
Fatto sta che nelle sedi
universitarie non si parla quasi d’altro. La parola d’ordine ‘valutazione’ è
entrata in circolo come un veleno: al punto che meno importa la qualità della
produzione che l’esito della valutazione (l’imperativo ‘studiare’, applicarsi
per il progresso della conoscenza, per la Scienza, pare passato in
second’ordine).
I Paesi, che hanno adottato per
primi un organismo simile all’ANVUR, lo hanno già abbandonato o lo stanno
abbandonando. In Italia persiste, malgrado le critiche universali
(inappuntabili) che ne infirmano le fondamenta. Esemplare quella di una mente
illuminata qual è Tullio Gregory (“il manifesto” dello scorso 3 ottobre). Un
altro illustre studioso, che vi partecipa, riconosceva che è ‘perfettibile’
(parola di Luciano Canfora, “Corriere della Sera” dei primi di settembre). La
vedo dura, con queste premesse; specie in assenza di un minimo di democrazia
nella scelta dei dirigenti e responsabili.
Per la VQR, l’organismo si vale
del meccanismo (fasullo) del ‘tutti valutano tutti’. È legittimo? Sensato no di
certo. Professori ordinari di Università italiane e straniere hanno valutato
una selezione di titoli scientifici di loro pari e delle fasce inferiori. E fin
qui passi (benché il criterio presupponga una sorta di onniscienza nel giudice
valutatore). La votazione numerica per ciascun titolo scientifico
(corrispondente a un giudizio sintetico: ‘eccellente’, ‘buono’ ecc.) doveva
essere accompagnata da giudizi analitici sui singoli titoli. Cosí non è stato
(solo votazioni numeriche). Poi si è venuto a sapere che i titoli scientifici
dei professori ordinari erano stati valutati anche dalla fascia inferiore, e
perfino dai ricercatori. No comment!
Quanto all’ASN, di cui parliamo,
è innegabile intanto che il sistema adottato per formare le commissioni
giudicatrici sia il peggiore che si potesse immaginare. Gli aspiranti
commissari dovevano semplicemente superare una cosiddetta mediana di settore,
prevista anche per i candidati; e partecipavano di diritto al sorteggio per entrare
in commissione. Senza elezione alcuna, né prima né dopo. E poiché la mediana –
diciamolo pure – fissava un numero minimo irrisorio di pubblicazioni, al
sorteggio hanno avuto accesso indistintamente tutti gli ordinari. Si sono
formate in tal modo commissioni che nessuno mai, dico mai, avrebbe eletto.
Naturalmente mediane di settore
erano state stilate anche per l’ammissione dei candidati dei due macrosettori,
bibliometrico (in sostanza quello tecnico-scientifico) e non bibliometrico. E
infatti questa ASN doveva essere in teoria una semplice verifica: doveva
verificare chi dei candidati ha le carte in regola per accedere, sulla base
delle specifiche mediane, alla docenza universitaria, nelle due fasce, e chi
no. Ma per certe commissioni di ambito umanistico questa verifica è diventata,
inspiegabilmente, un vero concorsone a cattedre ordinario (con tutto ciò che ne
consegue).
Per prima cosa hanno infatti
ritenuto inadeguate e comunque non vincolanti le mediane delle due fasce, e non
vi si sono attenute. Per non penalizzare – è questa la ‘ragione’ che si è
sentita da piú parti – studiosi meritevoli che fossero eventualmente al di
sotto. Vero. Tant’è che hanno concesso l’abilitazione a studiosi che non
raggiungevano la mediana o la raggiungevano a stento (ma in compenso vantavano
altri titoli ...). E l’hanno negata a studiosi che la superavano, anche
abbondantemente.
Quanto abbondantemente? In certi
casi, tanto. Il candidato era infatti tenuto a presentare un numero massimo
prestabilito di pubblicazioni, ma nel ‘curriculum’ prodotto era spesso evidente
il superamento della mediana anche di parecchie volte. E non è servito a niente
(non è bastato a salvarlo dalla bocciatura).
Si capisce già da questo che è
mancata (almeno in ambito umanistico) una regia che garantisse ai candidati dei
diversi settori un’equità di trattamento. Le cifre parlano chiaro. Si prendano
a titolo di esempio i risultati dei due settori ‘cugini’ Lingua e letteratura
greca e Lingua e letteratura latina. La commissione di greco ha abilitato – in
cifre tonde – il 65% dei candidati alla II fascia e il 70% dei candidati alla I
fascia; la commissione di latino, invece, il 40% (II fascia) e il 50% (I
fascia).
Inoltre (e qui si avverte
fortemente il problema del diverso trattamento ricevuto dai candidati a seconda
della commissione di settore), la commissione di greco ha concesso – largamente
– ai ricercatori meritevoli, presentatisi sia per la II che per la I fascia,
l’abilitazione in tutt’e due le fasce; al contrario, la commissione di latino
ha applicato assai rigidamente – ovviamente senza dichiararlo agli atti – il
criterio per cui il candidato non può fare il ‘doppio salto’: ossia niente
abilitazione alla I fascia se il candidato non è professore associato,
qualunque fosse la sua qualità scientifica (fanno eccezione due o tre casi,
inspiegabilmente a fronte di una decina di associati bocciati). E peggio ancora
è andata, con questa commissione, ai cosiddetti ‘non strutturati’, presentatisi
per la II fascia (basta vedere le percentuali).
È probabilmente vero che il ruolo
cui molti dei non strutturati avrebbe potuto legittimamente ambire – e cioè il
posto di ricercatore a tempo indeterminato – era già stato abolito dalla Legge
Gelmini; per cui non rimaneva loro che tentare la II fascia, e in troppi non ce
l’hanno fatta. Cosí, in buona sostanza, i ricercatori (la cui età media in
Italia è notoriamente alta) hanno avuto accesso (quelli che l’hanno avuto) alla
II fascia; i non strutturati, tra i quali si contano i giovani (ma vai a vedere
che quasi sempre di over forty si
tratta), sono rimasti in massima parte al palo. Morale: nei settori umanistici,
l’ASN ha prodotto un esito opposto a quanto la Legge Gelmini si proponeva (in
verità con scarsa cognizione di causa), e cioè svecchiare la docenza universitaria
e aprire l’Università italiana ai giovani valenti.
Ma c’è di piú, e di peggio, se
andiamo a mettere il naso nel concreto delle procedure abilitative. Per le
quali punterò il dito sul settore 10/D3 Lingua e letteratura latina, ove tutte
le magagne su denunciate, e altre ancora, si sono inconcepibilmente realizzate.
In questo settore la mediana utilizzata per la cernita degli aspiranti
commissari ha consentito di adire il sorteggio anche a professori le cui
pubblicazioni scientifiche nel settore specifico sono tutt’altro che numerose
(prescindendo da una miriade di recensioni e brevi articoli che gonfiano il
numero in assenza di un’edizione vera o un saggio di ampio respiro) o
addirittura si contano sulle dita di una sola mano (e c’è da chiedersi come abbiano
potuto soddisfare la mediana). Al contrario, non erano poi cosí rari i
candidati la cui produzione scientifica, documentata nei curricula, superava la
mediana di due, tre, quattro, perfino cinque o sei volte. Inutilmente, però.
Dato che, una volta sorteggiati e divenuti commissari, quei professori hanno
messo da parte le mediane previste per l’ammissione dei candidati alla I e alla
II fascia ed ecco i risultati: bocciati, per la I fascia, la metà dei
candidati, inclusi associati e idonei associati con parecchie decine di
pubblicazioni scientifiche di apprezzato spessore filologico-letterario e di
vasta eco internazionale piú titoli di ricerca eccellenti (in alcuni casi pari
o superiori a quelli dei loro giudici); per la II fascia, poco meno di due terzi
dei candidati, compresi ricercatori confermati con produzione scientifica di
tutto rispetto, e una percentuale da capogiro di giovani perlopiú non
strutturati (ai quali non è bastato un centinaio e passa di pubblicazioni
scientifiche in curriculum). Come dire loro: ‘arrendetevi, non ce la farete
mai’.
In cambio, hanno conferito
l’abilitazione alla I fascia a chi ha presentato un numero di pubblicazioni
scientifiche che non raggiungevano due mediane su tre o giú di lí (potenza
della sorte... e di qualcos’altro!). E c’è da aggiungere che parecchie
‘bocciature’ si spiegano solo con l’aura frivola nel ritrovarsi,
inopinatamente, giudici di una procedura valutativa nazionale o, peggio ancora,
con certi vizietti accademici tristemente noti (il che getta una luce sinistra
su questa procedura che vorrebbe sembrare severa, sí, ma immacolata).
Tutte le persone colte, italiane
o straniere, e naturalmente gli esperti del settore, hanno a disposizione L’Année Philologique online, il
repertorio internazionale che registra annualmente gli studi di Antichità
classica; incompleto certo ma cosí è per tutti, commissari e candidati. Basta
cliccare sui nomi degli uni (i commissari) e degli altri (i candidati) e les jeux sont faits. Giudizi e commenti
li lascio agli addetti ai lavori che avranno voglia e pazienza di andarsi a
vedere la produzione scientifica di alcuni candidati abilitati vattelapesca
come, ma anche di comparare la produzione scientifica di almeno tre quinti dei
commissari con quelle di certi candidati davvero eccellenti, bocciati benché
sicuramente meritevoli di conseguire l’abilitazione nazionale. Si tenga
presente che in parecchi casi c’è una differenza di vent’anni tra questi
candidati e i loro giudici (anche se a vedere le rispettive produzioni
scientifiche non si direbbe proprio), prima di chiedersi come – con quale
pudore e quali alchimie estranee alla scienza del settore – siano riusciti a
bocciarli, a dispetto dei curricula con tante pubblicazioni e titoli di valore.
E consigliar loro di adempiere, prima di emettere verdetti, al precetto di
Giovenale ‘noscenda est mensura sui’.
D’altronde esiti bislacchi
(diciamolo pure) ci si potevano aspettare da questa commissione ASN, che ha
preferito chiudersi a riccio, gelosa delle sue prerogative, scaturite (pare
essersi dimenticata) da un sorteggio, invece d’interloquire sui criteri da
adottare – come sarebbe stato giusto e opportuno fare – con le sedi
universitarie e l’organismo nazionale di rappresentanza del settore, specie in
prima applicazione delle nuove procedure abilitative. Salvo tentare di
‘giustificare’ il proprio operato (altri sensi non potrebbe averne), a lavori
conclusi e inoltrati all’ente di competenza, in sede CUSL (Consulta
Universitaria di Studi Latini), producendo tuttavia tirate contro la filologia ‘pura’
– demandate nella circostanza alla presidente di commissione –, che hanno fatto
rabbrividire la platea e lasciato di stucco tutti i piú accreditati esponenti
del settore. (Ovviamente: non c’è filologia astratta dalla critica letteraria;
astratta dalla filologia, la critica letteraria scade in chiacchierologia.)
Fatt’è che, in forza del criterio di giudizio assunto dalla commissione, i
candidati filologicamente piú dotati, i piú attenti alla tradizione del testo,
quegli stessi che hanno fornito o hanno posto le premesse indispensabili per
fornire un’edizione critica seria (fiore all’occhiello della nostra
disciplina), – a mio avviso i migliori, e comunque tra i migliori – sono stati
sistematicamente bocciati. Incredibile? No, anzi; dopo quanto ho spiegato.
Questi i dati oggettivi a
conclusione dei lavori per l’ASN del settore di pertinenza. Ma un altro dato
oggettivo, che certo affligge ulteriormente chi pensava di sottoporsi ad una
semplice verifica, sulla base di una mediana, e comunque di meritare l’abilitazione
che non è arrivata, non va taciuto. Intendo dire l’ampliamento delle differenze
reali di valore tra ricercatori respinti e premiati con l’abilitazione alla II
fascia; e l’innegabile appiattimento di valori tra i vincitori, magari a giusto
titolo, dell’abilitazione alla II fascia e i candidati eccellenti che si son
visti sfumare, pur meritandola, l’abilitazione alla I fascia. Per non parlare
dello stravolgimento dei valori in campo, in settori affini, tra ricercatori
bravi che hanno conseguito simultaneamente le due fasce e associati, anche
bravissimi, rimasti in II fascia. L’ASN ora ha accresciuto, ora ha livellato
competenze che non sono eguali. Neppure per sogno. Ma questi sono incidenti da
mettere in conto – purtroppo –, in una
esperienza già di per sé inutile e fallimentare (qual è stata finora questa
ASN), quando i commissari sono peggiori dei candidati.
Loriano Zurli
Ordinario di Filologia latina
Università di Perugia
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